PREMESSA
La guerra tra Russia e Ucraina sta incidendo sulla stabilità dei contratti, in particolare quelli aventi ad oggetto locazioni di immobili destinati all’esercizio di attività commerciali.
Già il periodo caratterizzato dalle chiusure a causa del COVID aveva influenzato le loro sorti, in quanto le attività commerciali erano rimaste chiuse per lunghi periodi in forza dei provvedimenti ad hoc emanati dalle autorità governative, dando così vita ad innumerevoli approdi in sede di dottrina ed eterogenee decisioni in sede di merito.
Ad oggi, l’improvviso rincaro del prezzo dell’energia determinato dalla riduzione delle forniture di gas da parte della Russia, quale estorsione alle sanzioni applicate da parte dell’Unione Europea in ragione dell’invasione dell’Ucraina, sta incidendo notevolmente non solo sui bilanci familiari dei comuni cittadini, ma anche sui costi di gestione delle attività industriali e commerciali che di tale risorsa ne fanno ampio utilizzo.
LA VICENDA
Con ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., una società che fornisce servizi di deposito, movimentazione e custodia contro terzi di prodotti gelati, congelati e surgelati, ha demandato, alla Sezione Civile del Tribunale di Arezzo, accertata la ricorrenza dei presupposti di eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c., in relazione all’aumento dei costi di esercizio per i consumi di energia, di disporre la cessazione della fornitura di servizi di deposito, stoccaggio e movimentazione merci nei confronti dell’altro contraente nonché di ordinare la liberazione immediata dei beni occupati.
Inoltre, la società ha chiesto di stabilire una penale, quantificata in € 200,00, per ogni giorno di ritardo nella riconsegna, in considerazione che il protrarsi dell’occupazione di beni locati provocherà il danno irreparabile alla stessa.
La società ricorrente, in base ad un contratto di fornitura di servizi, stoccaggio e movimentazione merci, si impegnava a ad erogare i servizi relativi al deposito, allo stoccaggio, alla custodia e alla movimentazione dei prodotti gelati, congelati e surgelati di proprietà dell’altro contraente, stoccati, custoditi e posizionati in appositi spazi indicati nel contratto, presso la cella frigorifera di proprietà della società.
Per detta attività, l’altra parte ricorrente avrebbe corrisposto un determinato canone mensile.
Il contratto in questione, tuttavia, non contemplava un adeguamento del canone in virtù di incrementi di costi specifici, quale è il consumo dell’energia elettrica che, in questa realtà aziendale, rappresenta una voce di costo considerevole.
In seguito all’aumento del presso per l’acquisto di energia elettrica a partire dal mese di giugno 2021, i corrispettivi della prestazione dei servizi e la concessione degli spazi per il deposito, concordati in tempi in cui il costo energetico era stabile, risultano oggi del tutto inadeguati.
La società, pertanto, richiedeva all’altro contraente di accordarsi circa l’adeguamento del canone mensile per i servizi resi, ricevendo in risposta un rifiuto.
A seguito delle reiterate richieste, rimaste tuttavia inevase, la società provvedeva in giudizio in via d’urgenza:
- in merito al fumus boni iuris: deducendo la sussistenza dei presupposti della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuto e la violazione di parte resistente del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto consistita nella totale chiusura dimostrata a fronte della richiesta di ricontrattare le condizioni avanzate dalla ricorrente;
- circa il periculum in mora: evidenziando che il protrarsi della situazione a condizioni contrattuali immutate provocherà la crisi irreparabile dell’impresa, con rischio oggettivo anche per il lavoro dei dipendenti.
LA PRONUNCIA DEL TRIBUNALE DI AREZZO
Il giudizio, proseguito in contumacia, si concludeva con l’accoglimento del ricorso da parte del Tribunale adito, il quale:
1. Disponeva la cessazione della fornitura dei servizi erogati come da contratto tra le parti;
2. Ordinava che l’altro contraente liberasse immediatamente i locali occupati;
3. Fissava in € 100,00 – anziché € 200,00 come richiesto dalla ricorrente – la somma di denaro dovuta dalla resistente dalla data di notifica del provvedimento per ogni giorno di ritardo nella sua esecuzione.
I MOTIVI A SOSTEGNO DELLA DECISIONE
Secondo il Tribunale, difatti, ricorre l’ipotesi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., avendo l’energia elettrica raggiunto costi non prevedibili e superiori rispetto alle normali oscillazioni di mercato in ragione della crisi economica e finanziaria alla quale si è aggiunto il conflitto bellico in atto in Europa.
Vieppiù:
- la voce di costo relativa all’energia elettrica riveste una notevole incidenza nell’ambito dell’attività economica esercitata dalla società ricorrente, come dimostrato dalla stessa in corso di causa;
- lo squilibrio tra le prestazioni cui le parti contrattuali sono rispettivamente tenute, non appare avere carattere temporaneo protraendosi in misura sempre maggiore da molti mesi.
Qualora nel rapporto si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, la parte che riceve lo svantaggio dal protrarsi dell’esecuzione del rapporto alle condizioni originariamente pattuite, deve avere la possibilità di rinegoziare il contenuto, in base al dovere generale di buona fede e correttezza, in una fase successiva alla stipula del contratto (sul punto: Tribunale di Roma, Sez. VI, ord. del 27.8.2020; Tribunale di Milano, Sez. contr., del 21.10.2021), circostanza questa che, nel caso in specie, parte resistente non si è resa disponibile a fare.
Il ricorso, infine, è fondato anche in relazione al periculum in mora, risultando documentalmente provata la crisi economica che ha colpito la società ricorrente imputabile al rincaro energetico, così come l’applicazione di un pagamento pari ad € 100,00 per ogni giorno di ritardo nell’attuazione del provvedimento da parte del contraente resistente.